Persecuzione dei cristiani nell'Impero romano

I nomi di quattro martiri della "grande persecuzione" - Zoticos, Attalos, Kamasis, Filippos - sulla loro tomba, nella cripta della chiesa paleocristiana di Niculițel, in Romania.

Le persecuzioni dei cristiani nell'Impero romano si basavano su comportamenti caratterizzati da aggressività poiché la religione cristiana veniva considerata un crimine contro lo stato. Molti proclamarono comunque la propria fede accettando la prigionia, le torture, le deportazioni e anche la morte tanto che i martiri furono migliaia, sebbene il numero reale sia difficile da calcolare.[1]

Inizialmente tuttavia le autorità locali non ricercavano attivamente i cristiani; le loro comunità continuarono così a crescere, trovando anzi nel culto dei martiri nuovo vigore; gli imperatori Decio, Valeriano e Diocleziano, spinti anche da considerazioni politiche, ordinarono persecuzioni più attive e severe, che tuttavia non arrivarono a sradicare il nuovo culto.

Nel 311 l'imperatore Galerio emanò l'Editto di Serdica che concedeva ai cristiani il perdono, poi confermato da Costantino I, che accordò al cristianesimo lo status di religio licita con l'Editto di Milano nel 313. Gli ultimi strascichi delle persecuzioni si sovrapposero alle prime lotte contro gli eretici; dopo pochi decenni sarebbero iniziate le persecuzioni dei pagani.

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